A dicembre, in preparazione della Festa dei Popoli, a scuola abbiamo partecipato ad un cineforum in collaborazione con il Festival Balafon, l’associazione Abusuan e i Padri Comboniani. Quest’anno abbiamo visto insieme “Aloe Vera”, un film prodotto in Ghana nel 2020 e diretto dal regista ghanese Peter Sedufia.
Nella prima scena due tribù, una di colore blu (gli Aloe) e l’altra di colore giallo (i Vera), discutono se sia nato prima l’uovo o la gallina.
Da questa discussione nasce un vero e proprio conflitto, che porta le tribù a tracciare un confine con uno steccato e una corda tra di loro e a non parlarsi più.
Anzi, nelle rispettive scuole, viene insegnato ad odiare l’altro. Secondo queste “leggi”, Aloe e Vera non possono parlarsi, non possono aiutarsi a vicenda, non possono attraversare il confine ma, soprattutto, devono diffondere la propaganda dell’odio.
Chi non rispetta le regole e varca quel margine, deve sostenere un combattimento con un altro membro della tribù opposta. Il perdente è ceduto come schiavo ai vincitori.
In realtà, l’odio è fomentato soprattutto dai capi villaggio e accettato dagli altri adulti.
In questo terribile clima i giovani Aloewin e Veralin delle due tribù rivali si innamorano e sono costretti a comunicare con dei bigliettini e a vedersi in segreto, ma guai se i loro padri, cioè i capi-tribù, venissero a scoprirlo, perchè scoppierebbe un’altra “guerra”.
Al contrario, le loro madri sono favorevoli e più volte cercano di coprirli, come fanno anche altri personaggi fondamentali, ad esempio lo zio di Aloewin.
Tuttavia i capifamiglia vengono a sapere la verità, anche perché Aloewin e Veralin aspettano un bambino.
Nemmeno la notizia dell’arrivo del primo “Aloevera” (futuro nome del neonato), riesce a riunificare i due popoli, ciascuno dei quali vuole che il piccolo faccia parte della propria comunità.
Alla nascita del figlio Aloewin decide di mischiare le vernici blu e gialle, ottenendo un nuovo colore: il verde. Con questo dipinge le pareti della sua nuova casa, con l’intenzione di far riappacificare le due fazioni.
L’intento riesce e tutti sono felici di essersi finalmente ritrovati, uniti come prima.
Un particolare che emerge in maniera evidente dalla visione del film riguarda la scena del pallone della tribù Aloe, che finisce inavvertitamente nel campo dei Vera. Un bambino dei Vera lo restituisce agli Aloe e inizia a giocare con la squadra opposta indossando la divisa degli Aloe per non farsi scoprire. In questa scena i bambini dimostrano intelligenza e apertura nei confronti degli altri, perchè si rendono conto che, anche se hanno maglie che li distinguono e li contrappongono, sono esseri uguali con tanta voglia di giocare e di stare insieme e che quindi è stupido essere nemici e odiarsi.
La pellicola è un’allegoria, cioè ha un doppio significato: l’immagine del villaggio diviso in due dal confine e dai colori vuole dimostrare che spesso nella vita reale, nonostante si dica che siamo tutti uguali, viviamo separati e talvolta non sappiamo neanche il perchè. L’effetto ottenuto è che si esaltano gli elementi negativi e si mettono da parte i valori positivi della società attuale.
Bisognerebbe invece ragionare prima di credere a inutili miti, diffusi da logiche nascoste e non sempre motivate, perchè è meglio riconciliarsi che essere divisi. E’ meglio vivere in pace che essere in guerra.
Ma perchè nel titolo del film si fa riferimento proprio alla pianta dell’aloe vera? Come ci hanno spiegato gli organizzatori, il nome permette di unificare le due tribù e, soprattutto, richiama il verde che è il colore della speranza!
Ed io nella speranza credo.
Infine vorrei riportare un pensiero che il mio compagno Matteo ha condiviso con la classe: “Questa attività mi è piaciuta molto perché ho imparato che bisogna avere sempre rispetto delle idee altrui e che la propria vita non vale più delle altre. Ho imparato che possiamo essere diversi quanto vogliamo, ma siamo sempre esseri umani. Questa storia insegna che il rispetto, l’amicizia e l’amore devono essere sempre al primo posto perché sono valori che permettono di superare le divisioni e le barriere”.
Arianna Manfredi (citazione di Matteo Pietrangelo)