L’incontro con il padre di Antonella è stato per tutti noi molto importante e commovente.
Io in particolare mi sono sentita molto coinvolta dalle cose che sono state dette, perché anche io sembro una ragazza molto forte, che tende a non parlare di sé con nessuno e a soffrire senza farlo notare né a mia madre, né ai miei amici, né ai professori, proprio per lo stesso motivo che ci ha spiegato il papà di Antonella: la paura di sentirsi un peso o di essere presi in giro.
Io, come Antonella, penso che non debba essere sempre chi soffre a chiedere aiuto, e vorrei che gli altri, quando vedono una persona che sta sempre in disparte o si isola dal gruppo, si avvicinino a lei, magari anche senza dire niente, solo per farle compagnia; perché posso assicurare che un gesto del genere, magari insignificante per gli altri, per chi soffre è tanto.
Forse molti pensano: “Sì, vabbè, ma quella è sempre felice e sorridente, quindi sta sicuramente bene” e per questo non chiedono mai “Come stai?” e non le stanno mai vicino, ma non sanno che questa persona in realtà soffre tanto e che il sorriso serve solo a mascherare ciò che prova realmente.
Dico questo perché io sono così e so che vuol dire non essere creduta da nessuno solo perché hai sempre il sorriso.
Vorrei dire ancora due cose.
La prima a chi soffre: non chiudetevi in voi stessi e parlatene con qualcuno, so di essere contraddittoria perché sono la prima che non riesce a farlo, ma non voglio che voi facciate il mio stesso errore.
La seconda a tutti gli altri: non giudicate mai una persona dalla “copertina” perché un sorriso sul volto non vuole dire stare bene.
Agnese Bianchi