La professoressa Cinzia Montemurro, del Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti presso l’Università degli Studi di Bari, segue da tempo un progetto innovativo che riguarda le Uve Apirene.
Ci racconta com’è nato il progetto delle Uve Apirene pugliesi?
“Partiamo dal fatto che i consumatori apprezzano molto l’uva da tavola e, come forse saprai, la Puglia è il principale produttore italiano di uva da tavola e produce, in particolare, una varietà molto importante che negli ultimi anni ha fatto il successo del mercato delle sue uve: l’Uva Italia”. Questa tipologia di uva ha un chicco molto grosso, un colore giallognolo, un aroma di moscato e, soprattutto, è un’uva croccante e che si presta bene anche alla conservazione. Presenta solo un problema: i semi! Per questa caratteristica, nel corso degli ultimi anni, ha avuto un decremento della richiesta sul mercato, in quanto i consumatori, soprattutto le donne e i bambini, richiedono frutti senza semi perché trovano fastidioso il contatto con il semino legnoso dell’uva. Il mercato di questa uva, dicevo, è andato via via diminuendo e sono arrivate sulle nostre tavole le varietà californiane. In California, già da tempo, infatti, si producono uve apirene, cioè senza semi, e queste, a poco a poco, si sono diffuse nei nostri mercati. Il problema è che queste uve californiane sono adattate al clima della California, ma non tutte crescono bene nei nostri climi. Inoltre, sono in mano a poche multinazionali che fanno una specie di cartello: ti obbligano a comprare le piante, pagando la royalty (una specie di copyright) ma ti obbligano anche a venderle a chi dicono loro e ad un determinato prezzo. Per impedire tutto questo, ci è venuto in mente di creare delle uve apirene pugliesi.”
Visto che parliamo di un progetto innovativo, le chiedo come si fa a capire se un’idea può diventare un buon progetto?
“Quando si ha un’idea, può essere a basso rischio, a medio rischio o ad alto rischio. Di solito, più innovativa è l’idea, più alto è il rischio che si corre a perseguirla. Le uve apirene, ad esempio, potevamo farle in due modi: seguendo un metodo ancora più innovativo, che però significava esporsi ad un alto rischio, e un metodo un po’ meno innovativo, che significava correre un rischio più contenuto. Avendo la responsabilità anche di diversi agricoltori che hanno finanziato il progetto, per il momento, abbiamo scelto di seguire un metodo a medio rischio ma allo stesso tempo, come ricercatori, stiamo portando avanti quello ad alto rischio Vedremo nel futuro a quali risultati porterà.”
Oltre la differenza che sappiamo tra Uve Apirene rispetto all’uva normale ci sono altre differenze?
“Le uve apirene sostanzialmente sono uve senza semi, possono, però, anche essere uve “migliorate” in quanto per ottenerle è necessario fare degli incroci; per dirlo in parole semplici, durante l’incrocio puoi trasferire, oltre alla apirenia, anche altri caratteri di determinate uve: ad esempio caratteri legati alla resistenza, ottenendo magari un’uva che non si ammala e che quindi necessita di meno trattamenti ed è, di conseguenza, più sostenibile”.
Come si ottengono le uve apirene?
“Facendo degli incroci tra piante che hanno buone caratteristiche, ma anche i semi, e varietà che non hanno semi: in questo modo si ottiene una generazione di uve-figlie che saranno uve buone sia con semi che senza semi. Si possono anche utilizzare delle uve- genitori che oltre ad essere senza semi presentano particolari caratteristiche di resistenza. Infatti, quando produciamo uva da tavola, incappiamo in due funghi, l’Odio e la Peronospora, che ci creano molti problemi, perché rovinano i frutti. Pertanto, attraverso gli incroci di varietà, cerchiamo di avere delle uve che sono sia apirene che resistenti. Poi le posso ottenere uve gialle, rosse, nere e anche….fucsia, pensate un po’… Le posso fare con un aroma neutro o con degli aromi più persistenti, come ai frutti tropicali, oppure di un aroma moscato, alla fragola… ci si può divertire, insomma!”
E adesso che sappiamo che l’Italia, ma in particolare la Puglia, è un grande produttore di uva, come si è sentita l’esigenza di produrre anche uve apirene e qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere?
“Dal momento che c’è una forte richiesta di eliminare le piante di uva con i semi a favore di quelle apirene, abbiamo pensato di lavorare per rendere gli agricoltori pugliesi indipendenti dalle multinazionali e avere uve che si adattino bene al territorio pugliese perché pensate e nate proprio per il nostro clima.”
Molte persone pensano che l’uva senza semi possa essere poco salutare. Cosa ci dice in proposito?
“Noi otteniamo questa uva semplicemente facendo degli incroci, quindi è un metodo assolutamente convenzionale, e non presenta alcun rischio di nessun genere”
Invece se in futuro si mangiassero solo uve apirene ci sarebbero delle conseguenze negative per l’uomo o per l’ambiente?
“Assolutamente no”
Ci sono diversi tipi di uve apirene? Se sì, quali.
“Esistono diverse varietà molte delle quali sono importate dalla California, come ti dicevo prima. Recentemente è stata fatta una nuova varietà pugliese, da un gruppo di ricerca che si chiama Maula: si tratta di una varietà senza semi, anche questa nata e cresciuta in Puglia. Alla fine di quest’anno stiamo aspettando di avere le prime nove registrazioni perché quando si fa una varietà nuova la devi proteggere e registrare. Quindi nel 2025 stiamo aspettando l’arrivo delle nuove domande che abbiamo depositato”
E sono state già messe in commercio o è un piano futuro?
“L’anno prossimo sicuramente metteremo in commercio, non so se tutte e nove, ma almeno tre o quattro di queste prime nove. La Maula invece è già in commercio”
Grazie alla professoressa Montemurro e all’Università degli Studi di Bari per questo bellissimo progetto, che molti di noi non conoscevano.
Giulia Bux