Mi capita spesso, come del resto capita a molti miei coetanei, di vivere momenti di sconforto, tristezza, a volte rabbia. E quando succede, piuttosto che chiudermi in me stesso, mi rifugio tra gli affetti più cari: i miei genitori, che sono sempre stati e sempre saranno i primi a sostenermi nei miei momenti “no”; o i miei cugini, in grado di donarmi spensieratezza; o ancora gli amici, sempre pronti a strapparmi un sorriso. Ma quando proprio non mi va né di vedere, né di parlare con nessuno, mi rifugio nell’unico luogo in cui riesco a ritrovare il mio equilibrio: la mia camera. È lì, infatti, che, lontano da tutto e da tutti e circondato dalla “pace assoluta”, sono finalmente libero di fare tutto ciò che voglio, da ascoltare musica, a leggere un libro, da guardare il soffitto immerso nei miei pensieri a sfidare i miei amici in una frenetica sessione di videogames. A volte, invece, preferisco uscire di casa e fare lunghe passeggiate; altre ancora mi basta semplicemente andare in palestra e prendere a pugni il sacco per sfogarmi e tornare ad essere, pur stanco e sudato, il ragazzino spensierato che tutti conoscono. Purtroppo, però, non sempre è così facile superare momenti di sconforto e spesso si sceglie la soluzione in apparenza più semplice: quella di chiudersi in sè stessi. Proprio ciò che succede agli hikikomori, ragazzi che, dopo aver vissuto un’esperienza negativa o traumatica, si sentono incapaci di affrontare e superare il momento di difficoltà e scelgono la solitudine evitando i rapporti sociali, anche quelli con i parenti più stretti, chiudendosi nella propria cameretta, isolandosi per giorni, mesi, a volte anni, ed elaborando una propria “realtà parallela”, virtuale, la sola dove si sentano “protetti”. Così, un semplice momento di debolezza o di tristezza per loro può trasformarsi in una patologia: incapaci di affrontare la realtà, con i suoi alti e bassi, essi si rifugiano nel mondo di Internet, dei social e dei videogames, dove, celando la propria identità dietro un avatar, tutto appare più semplice e nulla sembra impossibile. E non crediate che quello degli hikikomori sia un fenomeno esclusivamente asiatico, come la parola potrebbe suggerire: anche in Italia, infatti, si contano sempre più casi di ragazzi che scelgono d’isolarsi e che sono affetti da questo disturbo del comportamento per cui sembra non esistano cure specifiche.
Perciò, se ci accorgiamo che un nostro amico attraversa un momento non proprio felice, cerchiamo di stargli vicino e facciamo in modo che non si senta mai solo: perché le difficoltà si superano più facilmente quando si sa di poter contare su qualcuno. E se, presi da mille pensieri, ci viene proprio voglia di chiuderci in camera per giocare alla Playstation, invitiamo a casa il nostro amico del cuore per una sfida all’ultimo sangue che metta a dura prova i joystick: perché per noi esseri umani, che per natura siamo “animali sociali”, non c’è rimedio più antico e semplice alla tristezza che lo stare in compagnia.
Niccolò Lorusso