Jeffrey Dahmer è stato un killer talmente spietato da passare alla storia con il nome di “Mostro di Milwaukee”.
Jeffrey nacque il 21 maggio 1960 appunto a Milwaukee, nel Wisconsin, da Lionel Dahmer e Joyce Flint. Secondo alcune fonti visse un’infanzia tranquilla fino ai 6 anni, quando si trasferì nell’Ohio: da quel momento sviluppò un carattere chiuso e sospettoso, sia per le continue assenze del padre (che viaggiava molto a causa dei suoi impegni lavorativi), sia per la depressione di cui soffriva la madre.
Nel 1968 incominciò a collezionare resti di animali, per poi seppellirli dietro l’abitazione. Nello stesso periodo domandò più volte al padre quale sarebbe stata l’eventuale reazione delle ossa di pollo se fossero state immerse nella candeggina e il padre, pensando ad un normale curiosità infantile, gliela mostrò.
Dai 16 anni Jeffrey iniziò a consumare alcolici e capì di essere omosessuale. Compiuti i 18 anni, invece di trasferirsi altrove con la madre e il fratello dopo che il padre aveva abbandonato la famiglia in seguito a un tradimento della moglie, il ragazzo decise di rimanere nell’Ohio.
Il 18 giugno del 1978 compì il suo primo omicidio: la vittima fu Steve Hicks, un ragazzo di 19 anni che Jeffrey uccise soffocandolo. Nessuno, tuttavia, sospettò di lui.
Nel 1981 il padre, preoccupato della vita disordinata e irresponsabile, mandò Jeffrey a casa della nonna Catherine Hughes, l’unico membro della famiglia cui mostrava affetto, sperando che con lei il figlio potesse finalmente mettere la testa a posto.
Inizialmente tutto proseguì nel migliore dei modi: Jeffrey trovò un lavoro come flebotomo e sembrava che avesse trovato un equilibrio. Tuttavia ben presto fu licenziato e rimase disoccupato per due anni. In quel periodo mise a segno molti dei suoi delitti più efferati: il 20 settembre 1987 uccise Steven Tuomi, sette mesi dopo Jamie Doxtator e il 24 maggio 1988 la sua vittima fu Richard Guerrero. Anche in tutti questi casi non si riuscì a risalire a lui come autore dei delitti.
Nel settembre del 1988 Jeffrey fu allontanato dalla casa della nonna a causa del suo comportamento instabile e si trasferì in un appartamento di Milwaukee; nello stesso mese adescò Somsack Sinthasomphone, un ragazzino di tredici anni che fortunatamente riuscì a scappare e che lo denunciò: Jeffrey fu condannato a 10 mesi di ricovero in un ospedale psichiatrico, passati i quali tornò a vivere a casa della nonna. Due anni dopo si trasferì in un altro appartamento a West Allis, una zona ad alto indice di criminalità.
Qui, il 22 luglio del 1991, invitò il giovane Tracy Edwards e gli somministrò un sonnifero, ma il ragazzo lo colpì violentemente con un pugno e riuscì a fuggire in strada attirando l’attenzione di una pattuglia della polizia; l’appartamento fu perquisito e al suo interno furono trovati numerosi cadaveri o resti di essi. Dopo una breve colluttazione con gli agenti, Jeffrey fu immobilizzato e condotto in prigione in attesa di essere sottoposto a processo.
Il procedimento giudiziario a suo carico ebbe inizio il 30 gennaio 1992: l’uomo si dichiarò fin da subito colpevole e fu condannato all’ergastolo. Subito dopo la condanna, fu incarcerato nel Columbia Correctional Institute, dove si convertì al cristianesimo. Visto l’odio che gli altri detenuti gli dimostravano, gli fu proposto il trasferimento in isolamento, ma Dahmer rifiutò dichiarandosi pronto ad accettare qualsiasi punizione, anche la morte, per dare giustizia agli orribili delitti da lui commessi e dei quali si sentiva in colpa.
Il 28 novembre 1994 finì per essere nuovamente aggredito da Christopher Scarver, un detenuto affetto da schizofrenia che lo colpì con l’asta di un manubrio trafugata dalla palestra del carcere. Tale aggressione gli risultò fatale: morì durante il trasporto in ospedale a causa del trauma cranico riportato.
Sofia Leotta, Chiara Patella
PS: Abbiamo scritto questo articolo come primo di una serie, perchè siamo appassionate del genere true crime e perché la storia di Jeffrey ci ha incuriosite molto e volevamo approfondirla.
Alla prossima!