Grazie, coach, per avermi insegnato tutto ciò che una persona e un allenatore non devono essere: se dovessi diventare un allenatore sarei già a metà dell’opera!
Grazie per avermi detto, dopo solo tre mesi circa dall’aver ricevuto l’incarico di coach della “nostra squadra”, che aveva pronta per me, un ragazzo di soli 12 anni, una carriera da arbitro perché, secondo lei, io non potrò mai diventare un giocatore di basket.
Grazie per aver sottolineato che le mie caratteristiche fisiche non erano rispondenti al suo banale stereotipo del cestista.
Grazie per tutte le volte che, sia nelle amichevoli che nelle partite di campionato, mi ha lasciato in panchina, facendomi entrare in campo negli ultimi 60 secondi di quarto, e neanche a tutti i quarti, ma soprattutto per tutte le volte che mi ha lasciato abbandonato a me stesso durante gli allenamenti, non degnandomi di un “bravo” o di una correzione, e soprattutto isolandomi dai miei coetanei e inserendomi nel gruppo dei ragazzini di 9/10 anni (senza nulla togliere a loro).
Non so chi tra noi due fosse l’incapace: ero io incapace di imparare, lei di insegnare o semplicemente si è rifiutato di farlo? Eppure, secondo altri allenatori che l’hanno preceduta, facevo la mia parte e su di me si poteva e si può lavorare, oltre che contare.
Certo che, a suo dire, per essere “futuribile” e quindi degno della sua considerazione, ovvero semplicemente dei suoi allenamenti, oltre a dovermi allenare al campetto per fatti miei, dovrei perdere un numero di chili da lei stabilito quasi al milligrammo e prendere un numero ben preciso di centimetri in altezza… facile, in effetti…!
Grazie, perché a soli 13 anni, ho iniziato a capire che cosa si intende per “delirio di onnipotenza”.
Immagini un po’ che bella soddisfazione si sarebbe preso se avesse lavorato anche con me come con gli unici che Lei (per le loro caratteristiche fisiche, o, chissà, magari per convenienza) riteneva degni di correzioni e attenzioni durante gli allenamenti…
Grazie, perché dopo circa tre anni di basket, di cui l’ ultimo con Lei, mi ha detto che io posso solo correre perché non sono in grado di portare palla.
Con la stessa franchezza che ha usato Lei con me, Le dico che se fosse vero dovrebbe farsi qualche domanda.
Grazie per aver distrutto amicizie e per aver trasformato la nostra squadra in un campo di battaglia!
Grazie per tutte le perle di saggezza di ogni fine allenamento, quando, dopo che avevamo dato tutto sul campo, la cosa che le riusciva meglio fare era ricordare che alcuni di noi hanno altri talenti, e che non devono per forza giocare a basket.
Le dico sinceramente che certe volte ho pensato che volesse ” liberarsi” di alcuni di noi per lasciare più spazio negli allenamenti, nelle amichevoli, nei tornei e, di conseguenza, nelle partite di campionato, ad altri, in modo da tenerli sempre in campo (cosa che in realtà ha comunque sempre fatto), senza dargli la possibilità di migliorare e crescere attraverso il confronto, ma attribuendosi Lei il diritto alle selezione sia naturale che cestistica.
Comprendo anche che in alcuni casi voglia evitare che alcuni, che ha dichiarato essere non adatti, o meglio, “non futuribili”, mostrino di poter essere all’altezza e, purtroppo, quando si mette in campo chi ha testa, passione e grinta, il rischio è proprio questo… Lei lo sa (vero!?) e in questo ha saputo mostrare di essere molto astuto.
Grazie per aver reso esplicitamente noto il suo spirito persecutorio comunicandomi la sua intenzione di sbeffeggiarmi quando mi incontrerà sul lato opposto del campo. Immagino che farà uso dei suoi eleganti epiteti.
Con questo dimostrerà “cos’è per lei” lo Sport, chi è un Educatore, un padre, ma soprattutto cosa significhi essere un uomo adulto.
Grazie soprattutto perché ho capito che io merito di più e di meglio di tutto questo.
Grazie per avermi mostrato cosa fare se si vogliono distruggere i sogni di un adolescente e distruggere la sua autostima.
Mi spiace solo per alcuni compagni che non hanno la forza di reagire, nessuno che comprenda le loro ferite, che li supporti, e per questo giungono ad imbarazzanti compromessi e la subiscono ancora, e subiscono i suoi modi bruschi e aggressivi.
Talvolta penso che dietro le sue parole offensive, apparentemente dette per il nostro bene, nasconda la sua incapacità di allenare persone diverse dai “suoi stereotipi”, la sua incapacità di essere educatore, ciò che un coach deve saper essere. Talvolta ho anche pensato che nella sua vita agonistica abbia incontrato qualcuno basso e robusto che “le abbia fatto le scarpe” e forse questo sarebbe il motivo per il quale tutti i cestisti che dai 12 anni in su sono alti meno di 170/180cm lei le definisca “P.T.” (lascio a Lei svelare il suo elegante acronimo).
Ma, pensandoci meglio, non mi importa se si comporta così perché ha delle ferite o delle frustrazioni, non sono io a 13 anni ad dovermi preoccupare per lei!
Io non mi lascio più ferire, perché mi voglio bene e vorrei evitare che le ferite mi incattiviscano.
In realtà a 11/ 12 anni io volevo solo imparare, migliorare nel basket e provare a diventare un cestista… insomma, male che fosse andata, avrei provato almeno ad arrivare in serie C, perché io lo amo, il basket, e l’amore non ha mai a che fare con nulla che ferisca e provochi dolore a qualcuno…
Le chiedo, anzi si chieda : “a 12/13 anni è lecito avere un sogno nel cassetto da coltivare?!” Forse Lei sta ancora inseguendo il suo, e forse è questo il vero problema!!!
Caro il mio “coach”, io ho traballato, ma non mollo! Preferisco ricominciare da zero in una “Squadra” , dove vigono rispetto ed empatia e questo ricominciare per me non è un fallimento bensì una rinascita.
Quindi, caro coach, il mio è solo un arrivederci: ci vediamo sul campo da basket e il solo fatto di incontrarci su fronti opposti dirà chi tra me e Lei ha fallito e chi ha altri talenti a prescindere dal risultato della partita o dall’uso che Lei in quella sede, da uomo adulto, maturo e di esperienza, farà dei suoi imbarazzanti epiteti per mettere a repentaglio le mie prestazioni.
In bocca al lupo … Io, ovviamente, non ho assoluta necessità che Lei ricambi, anzi, poiché io ho “anche” altri talenti, glielo dico in latino: Ad Maiora!
E si ricordi che io traballo, ma non mollo, soprattutto se è lei a pensare che debba farlo!
Il “suo” cestista invisibile
disegno di Elena Bottiglieri