L’8 marzo è il giorno in cui sono nato, ma soprattutto è una giornata molto importante per tutte le donne. In questa data, infatti, ricorre quella che per molti è la “festa della donna”, un evento consumistico fatto di mimose, regali e cene tra amiche, ma in realtà, più che un giorno di festa, andrebbe considerato come un momento di celebrazione di tutte quelle donne che negli anni hanno lottato per rivendicare e conquistare i propri diritti e che grazie al loro coraggio hanno raggiunto traguardi fondamentali seppur non sempre riconosciuti. In effetti l’8 marzo è meglio definita come la “giornata internazionale dei diritti della donna”. Negli anni sono stati fatti molti passi avanti, ma la donna, purtroppo, non ha ancora raggiunto l’effettiva parità di genere. Troppe donne, pur svolgendo lavori analoghi a quelli degli uomini, percepiscono stipendi minori; molte sono costrette a scegliere tra il lavoro e la famiglia; tante si trovano costrette a dover scegliere tra maternità e lavoro; moltissime altre sono costrette ad abbandonare il lavoro per occuparsi dei figli, mentre altre ancora, non potendoseli permettere, sono costrette a rinunciare alla maternità senz’altra alternativa. Purtroppo si dà per scontato che tali rinunce debbano essere esclusivamente a carico delle donne, creando così culturalmente il presupposto per la negazione di molti diritti femminili. Nonostante l’emancipazione degli ultimi decenni, la donna rimane in una condizione di dipendenza economica nei confronti dell’uomo. Infatti, anche l’incapacità e la paura di molte donne di reagire a prepotenze, violenze e minacce da parte dei loro compagni, sono dovute sia alla mancanza di un’autonomia economica, sia da un patrimonio culturale legato al passato alla figura dell’uomo inteso come “padre – padrone”. Quindi, ridurre l’8 marzo ad una banale festa sarebbe offensivo nei confronti di tutte quelle donne a cui ancor oggi vengono negati persino i diritti fondamentali. Penso a quelle donne obbligate a prostituirsi, a quelle picchiate e segregate, alle giovani ragazze costrette a matrimoni combinati e spesso assassinate in caso di rifiuto, proprio com’è capitato a Saman, la diciottenne pakistana di cui tutti conosciamo la triste storia. Penso alle ragazze stuprate per le vie delle nostre città, alle donne violentate ed uccise tra le mura domestiche. Penso a tutte le donne che vivono in paesi in cui vige un regime dittatoriale ed ai loro diritti ogni giorno negati: le donne iraniane, disposte a morire per la propria libertà, com’è capitato a Mahsa Amini; le mie coetanee afgane ed iraniane, a cui viene imposto il divieto di frequentare la scuola, come Malala Yousafzai, fortunatamente sopravvissuta e premiata con il Nobel per la pace, nota per il suo impegno per il diritto all’istruzione e l’affermazione dei diritti civili. Penso alle donne ucraine, ai loro occhi pieni di lacrime, a quelle mamme che, con i loro piccoli in braccio, fuggono dalla guerra. Penso a tutte quelle donne che tentano la fuga dai paesi poveri, afflitti da fame, malattia e miseria, che trovano il coraggio di affrontare un viaggio in mare anche in condizioni meteorologiche avverse a bordo di barconi gremiti da tanti disperati, in cerca anche loro di un futuro migliore. Spero che l’8 marzo possa essere, per tutti, un giorno di profonda riflessione e mi auguro, che in un futuro non lontano, le donne vedano finalmente riconosciuti tutti quei diritti che, fino ad oggi, sono stati loro ingiustamente negati.
Niccolò Lorusso