Antonella, studentessa al primo anno del classico Socrate a Bari, apparentemente, era una ragazza allegra, gioiosa, a cui piacevano il teatro e la scuola ma che, nel profondo, soffriva di una grande solitudine, come tanti di noi…
In classe avevamo già parlato della sua storia, ma ascoltarla dalle parole e soprattutto dal volto si suo padre è stata per me un’esperienza unica e della quale difficilmente mi dimenticherò.
Domenico Diacono ci ha fatto vedere video e immagini con messaggi diversi e tutti molto profondi. Abbiamo affrontato temi come: le differenze che contraddistinguono ognuno di noi, l’importanza di chiedere aiuto e di incitare gli altri a chiedere aiuto e di cosa sia e come funzioni l’empatia.
Ciò che più di tutto mi ha fatto riflettere è stata l’espressione del signor Diacono: ha mantenuto il sorriso nonostante fossero argomenti molto delicati per lui. Penso che riuscire a parlare apertamente di qualcosa che ti fa soffrire così tanto sia proprio solo delle persone speciali.
Un’altra parte del discorso che mi ha segnato è stata la lettura di alcuni scritti di Antonella, in particolare: “Sono un personaggio di sfondo nelle vite degli altri” perché mi sono reso conto che molto più frequentemente di quanto pensiamo veniamo messi di fronte a persone vicine a noi con comportamenti che denotano questo sentire. Penso che quando riusciremo a guardare gli altri non solo con gli occhi ma anche con il cuore, persino coloro che si sentono sempre in primo piano possano fare un passo indietro, facendo emergere tutti i dettagli e i colori dei soggetti sfocati al lato del foglio.
Questo incontro ha cambiato il mio modo di ascoltare gli altri: troppo spesso anche io tendo a minimizzare i problemi altrui, credendo di aiutarli, o non comprendendo i segnali che provano a mandarmi. Se ognuno di noi riuscisse ad entrare in un contatto psicologico più stretto con le altre persone allora ci sarebbero meno solitudine e meno dolore.
Tra i suoi messaggi con un’amica di Antonella troviamo: “Ho voglia di piangere” con la risposta “Ma come, tu che ridi sempre!”. Questa mancata accettazione di ciò che si trova dietro le nostre maschere induce ad aggiungere ulteriori filtri alla nostra personalità e, di conseguenza, ad opprimere sempre di più il nostro vero “io”.
Ciò che però più mi fa riflettere sulla nostra società è il credo comune “io capisco sempre gli altri ma gli altri non capiscono me” solo che, pensandoci bene, se tutti la pensano in questo modo questa frase rappresenta semplicemente un paradosso: come posso sentirmi solo se tutti gli altri sono convinti di capirmi e, a loro volta, come gli altri possono sentirsi soli se io sono sicuro di conoscerli alla perfezione? Beh forse chi lo pensa non conosce l’interno di chi lo circonda, ma solo la superficie e se si conosce solo la parte esterna, si torna al problema d’origine fa: la continua presenza di maschere che non permetterà mai di farsi conoscere fino in fondo.
Ivan Leonardo Carlucci