Capitolo cinque
Dopo l’incontro con quella strana ragazza, continuammo a camminare per cercare nuove persone disposte ad aiutarci. Io, come sempre, camminavo dietro Aesira. Ogni volta che mi ritrovavo a fissarla pensavo sempre che un giorno, magari alla fine della pandemia, sarei riuscito a camminare affianco a lei, mano nella mano, in un parco pieno di fiori colorati come quello che era vicino a casa mia quando ero piccolo: mi ricordo quando passavo le mie giornate a passeggiare in quel piccolo parco colorato, ero così spensierato. Mi chiedevo se anche lei prima della pandemia fosse stata mai spensierata. Aesira era una ragazza forte, ma doveva aver subito molti traumi nel corso della sua vita. Si notava dalla sua freddezza, dalla paura di socializzare con gli altri, di perdere di nuovo le persone che amava. Era molto bella, aveva i capelli corti che variavano dal castano chiaro al biondo scuro ed era parecchio alta, considerando che io sono un metro e ottantacinque e lei mi arrivava alla mascella; per non parlare dei suoi meravigliosi occhi marroni, con i quali lanciava degli sguardi così intensi da farmi venire le farfalle nello stomaco solo guardandoli; per esempio, adoravo quando ci ordinava di fare qualunque cosa rivolgendosi a noi con il suo sguardo impenetrabile. Quando l’addocchiai per la prima volta, lei correva verso di me rischiando la vita per proteggermi dagli infetti: in quell’istante mi si illuminarono gli occhi! Anche se non si sarebbe detto, aveva un grande cuore, altrimenti non avrebbe mai salvato né me né Kikka. Non tutte le persone avrebbero messo la propria vita al secondo posto per aiutarne un’altra, o almeno io non l’avrei mai fatto. Quando appoggiò la sua schiena contro la mia per difendermi dagli infetti da tutte le possibili angolazioni, sentii una scossa attraversare tutto il mio corpo: credo che fosse un segnale d’amore…
“James, sei di nuovo nel mondo delle nuvole?” – chiese proprio la persona a cui stavo pensando, quella che come sempre camminava davanti a me.
”Stai attento, lo sai benissimo che possono spuntare infetti da qualunque parte” – continuò. “Sì, scusa. Stavo solo pensando… – arrossii di colpo, sentendo il suo sguardo proprio su di me; per questo cercai di interrompere il nostro contatto visivo girando la testa da ogni parte e coprendo la faccia con la mano sinistra.
“Moccioso, stai bene? Ti vedo più pensieroso del solito” – Mi chiese avvicinandosi lentamente. Io tenevo lo sguardo basso, come uno stupido, perché in qualunque direzione guardassi mi sentivo osservato. Lei, arrivata abbastanza vicina a me, si chinò per cercare di scrutare la mia faccia, che però era coperta dal mio braccio sinistro. Nel cercare di guardarmi il volto, mi afferrò il braccio allontanandolo sempre di più dalla mia faccia. “Moccioso,” – disse lei lasciandomi il braccio e rialzandosi, mentre io cercavo di ricompormi – “forza che ci hanno superato!”
Come ho già detto, ero un po’ più alto di lei, di poco, quel poco che bastava per farla sembrare ancora più bella… a vederla lì, così vicina a me, ripresi ad arrossire.
“Sì, muoviamoci! Non possiamo farci superare!” – Le risposi non guardandola in faccia e afferrandole il braccio mentre iniziavo a accelerare il passo per raggiungere Kikka e Sayu, che oramai si erano perse in chiacchiere e che per fortuna non avevano notato cosa stava succedendo alle loro spalle.
“James, mi puoi lasciare il braccio? Posso camminare anche da sola, non sono ferita!
Ero così imbarazzato: avevo continuato a tenere quel braccio attirandola verso di me senza neppure accorgermene… La lasciai subito e senza dire niente mi allontanai, cercando ancora una volta di raggiungere Kikka e Sayu.
“Certo che sei proprio un ragazzo strano!” – sentendo quelle parole dalla sua bocca avrei voluto sparire sotto terra: si era fatta un’idea completamente sbagliata di me e di come avrei apparirle!
Dopo quell’imbarazzante avvenimento, ci fermammo per la notte dentro un trullo che trovammo per caso passeggiando per la campagna. Quella sera cercai di ignorare il più possibile Aesira ed evitai di fare qualsiasi cosa avrebbe potuto attirare l’attenzione su di me. Il trullo non era molto grande, ma per fortuna ci stavamo perfettamente tutti e quattro. Kikka accese un piccolo fuocherello e intorno ad esso cominciammo a parlare delle nostre vite prima della pandemia. Prima che tutto iniziasse io avevo solo 10 anni; i miei genitori lavoravano in un laboratorio scientifico, lo stesso dove avevano creato quelle maledette medicine che avevano dato inizio a tutto. Ricordavo benissimo il giorno in cui al telegiornale fu annunciato il lockdown per affrontare “il virus”: lo slogan ricorrente diventò “Andrà tutto bene”, ma alla fine si andò di male in peggio. Visto che Aesira e soprattutto Kikka si stavano aprendo molto nel raccontare il proprio passato, decisi di farlo anche io.
“Ragazze, posso confessarmi con voi?”
Tenni il braccio stretto al petto, sapevo che dovevo dire alle ragazze che i miei genitori avevano collaborato alla creazione delle “medicine”… Cioè, io non c’entravo niente, loro erano stati solo i miei genitori. Ma forse le mie nuove amiche non mi avrebbero capito, avevo troppa paura che non avrebbero creduto alla mia innocenza in tutta quella sporca faccenda, ma era troppo tardi ormai per ritirare la mia domanda, a cui la risposta di tutte era stata un sì convinto.
“Ec-c-co, ehmm… io, prima della pandemia…”
Mi fermai; avevo troppa paura della loro reazione, così decisi di optare per una bugia.
“… ero davvero un bambino fastidiosissimo, e inoltre porto gli stessi occhiali da quando avevo 8 anni”.
Mi guardarono e scoppiarono tutte a ridere: a quanto pare la mia bugia improvvisata aveva funzionato.
“Guarda che sei fastidioso anche ora, ma ti vogliamo bene lo stesso” – disse Kikka mentre le altre due stavano ancora ridendo. Beh, la mia bugia aveva pure funzionato, ma in quel momento avrei voluto morire, che imbarazzo!
“Ragazzi…” – disse Aesira ancora con il sorriso sulla bocca – “chi fa la guardia oggi?”
“La assegniamo alla nuova arrivata? Così tu puoi stare vicino a me!” – risposi, già sapendo che mi sarei beccato uno schiaffo, ma senza questa mia battuta credo che le ragazze si sarebbero preoccupate per me, visto che fino ad allora non avevo ancora fatto il cretino come al solito.
“Ok, però Kikka le deve prestare il suo fucile”.
Non ci potevo credere e anche Kikka ne rimase colpita: non avevo ricevuto né un pugno né uno schiaffo e neanche uno sguardo omicida?!. “Sarà uno scherzo” – pensai. Cos’era tutta questa dolcezza, ora?
“Co…me? – le chiesi.
“Ho detto che va bene: dormo vicino a te, così mi lasci stare una volta per tutte e poi oggi sono stanca non ho voglia di fare la guardia”.
Diventai rosso come un peperone. Kikka, ancora incredula, diede il suo fucile a Sayu, che ci guardava con un’espressione del tipo: “Vi shippo molto, stareste bene come fidanzati”.
Kikka accompagnò Sayu fuori e iniziò a spiegarle cosa avrebbe dovuto fare in caso di un attacco improvviso. Quella procedura non aveva nulla di difficile: bisognava solamente sparare agli infetti più vicini e svegliare tutti in tempo per scappare.
Aesira intanto aveva appoggiato il suo fucile a terra e cominciò ad avvicinarsi a me. Non riuscivo ancora a crederci, aveva accettato sul serio! Possibile che iniziasse a provare qualcosa per me? Forse mi stavo facendo troppi film mentali?
Senza che quasi me ne accorgessi lei si era già seduta vicino accanto a me.
“Contento ora?” – mi disse, mentre appoggiava la sua testa sulla mia spalla. Stavo quasi svenendo, ma mi calmai velocemente.
“Sì, sono davvero contento” – le risposi cingendole la vita con il braccio (meglio approfittare del momento…!). Appoggiai la mia testa accanto alla sua e presi sonno.
Gaia Brunetti