Capitolo 4
La giornata passò velocemente tra chiacchiere e combattimenti contro gli infetti, sempre pronti a contagiarci. Ad un tratto, camminando tra le strade della città, ci rendemmo conto che stavamo per finire le scorte di cibo. Sparare agli infetti e cercare persone che si volessero unire a noi in quella stranissima avventura non era affare da poco: nulla di strano che ci fosse venuta fame. Cercando qua e là, fui la prima ad adocchiare quello che era stato un piccolo supermercato; la sua insegna era molto rovinata, ma si riusciva ancora a leggere la scritta “Conad”. Feci segno a James e Kikka di raggiungermi all’entrata.
“Oh Dio, qui ci venivo sempre da bambino con mia madre!”- esclamò James correndo verso di me. Non appena mi fu più vicino allargò le braccia come per abbracciarmi, ma con mio grande stupore mi prese in braccio e mi fece fare una giravolta. Anche se non lo dimostrai, quel gesto mi piacque e mi piacque la felicità con cui lo aveva fatto: mi ricordò quello che spesso faceva mio padre, quando mi prendeva in braccio da bambina tornato dal lavoro. Arrivata anche Kikka al piccolo supermercato, iniziò a provocare sia me sia James: “Piccioncini, entriamo? Magari là dentro potremo trovare qualcosa di buono da mangiare!” James arrossì e io fui tentata di darle un pugno, ma non sarebbe servito a niente in quella circostanza.
“Sì, entriamo!” – disse James fiondandosi all’interno del negozio e trascinando anche me e Kikka con forza. Appena entrati, notammo i vecchi carrelli della spesa tutti insieme in un angolo e degli alti scaffali pieni di cibo probabilmente scaduto, ma che poteva comunque farci comodo. Infondo quel posto per noi era una specie di paradiso! C’era tantissimo cibo!
Prendemmo talmente tante scatolette di tonno, merendine e anche pasta che oramai non c’era più spazio per altro nei nostri zaini. Ma eravamo tutti e tre ben consapevoli che quel cibo ci sarebbe bastato solo per una settimana, non avremmo dovuto allontanarci troppo da quella città. Mentre stavamo per uscire soddisfatti, sentimmo un rumore provenire da dietro le casse che un tempo le commesse usavano per agevolare la vendita dei prodotti del supermercato. Presi d’istinto il mio fucile e mi girai di scatto verso le casse, posizionando il mio braccio destro davanti a Kikka e James per non farli avvicinare. Quando mi girai vidi una ragazza con capelli castani e una maglietta con su scritto “Sono solo un otaku girl”; aveva una faccia a dir poco spaventata ed era seduta a terra con il braccio appoggiato al bancone della commessa. Gli altri erano rimasti immobili, finché KIkka non si avvicinò a quella ragazza spostando di poco il mio braccio: cercai di bloccarla, ma fu inutile. Le si avvicinò e si chinò verso di lei.
“Stai bene?!” – le chiese con aria preoccupata ma con il viso dolce e il tono calmo.
“Non fatemi del male! Non sono armata come voi!” – gridò la ragazza allontanandosi spaventatissima da Kikka. Abbassai il mio fucile, visto che la ragazza non era armata e non sembrava volerci assalire.
“Come ti chiami?” – le domandai , riponendo il fucile dietro la schiena.
“Mi chiamo Sayu Haruyato” – mi rispose con voce tremolante
“Vuoi unirti a noi?” – intervenne Kikka con tutto il suo entusiasmo.
“Unirmi a voi?” – ripetè lei.
“Sì, unirci a noi! Vogliamo creare un accampamento, così gli infetti non ci potranno più dare troppo fastidio! – Disse Kikka porgendole la mano.
Sayu sprizzò felicità da tutti i pori:
“Davvero posso venire con voi? Sul serio? Non devo più stare da sola in questo supermercato!?”
Kikka l’abbracciò:
“Certo!!!” – Sayu ricambiò l’abbraccio.
Io e James ci guardammo e riuscimmo a capire l’una cosa stesse pensando l’altro: “Ne abbiamo trovata un’altra, e anche parecchio strana come Kikka”.
Mentre quelle due si abbracciavano sul pavimento come se fossero due bambine dell’asilo che si incontrano di nuovo a scuola dopo le vacanze estive, mi avvicinai a loro e le aiutai ad alzarsi da terra.
“Andiamo, forza! Guardate che l’accampamento non si crea da solo”.
Gaia Brunetti