Tutto è iniziato quando venerdì 4 marzo siamo andati come inviati speciali al Museo Civico di Bari per assistere alla presentazione del libro La città che partecipa, scritto da Anna Materi, web writer, vincitrice di concorsi letterari, scrittrice di componimenti poetici e brevi racconti.
Questo libro è nato come sviluppo della tesi di laurea in Sociologia Generale dell’autrice, e rappresenta la conclusione di un lungo percorso di lavoro collettivo – il progetto Reti Civiche Urbane del Comune di Bari – realizzato con l’obiettivo di creare un’identità cittadina attraverso la partecipazione attiva dei cittadini alla città, per sviluppare appunto la cosiddetta “cittadinanza attiva”.
Partecipando alla presentazione, non abbiamo potuto fare a meno di notare che la maggioranza dei relatori era composta da donne ed essendo passato da poco l’8 marzo, cioè la Giornata Internazionale della Donna, ci è venuto spontaneo riflettere sull’importanza della figura della donna come cittadina attiva che partecipa consapevolmente alla vita sociale.
Per cittadinanza attiva si intende l’adesione consapevole della persona alla vita cittadina e il suo pieno inserimento nelle reti di quei diritti e doveri che sono fondamentali per essere cittadini; significa contribuire pienamente alla comunità di riferimento grazie ad un reale e interessato senso di partecipazione. E allora la riflessione ci ha portato indietro nel tempo, a considerare come soltanto alla fine dell’Ottocento in Italia siano stati riconosciuti alle donne alcuni di quei diritti fondamentali a cui abbiamo accennato: come il diritto all’istruzione, ad esempio, ottenuto soltanto nel 1874, quando alle donne fu consentito l’accesso ai licei e alle università; o come il diritto ad avere un’identità propria, garantito con la Legge Sacchi del 1919, che abolì la potestà maritale e consentì alle donne l’accesso ai pubblici uffici; o il diritto ad entrare nella magistratura (alla quale fu consentito l’accesso solo nel 1963), nella politica e nell’esercito (dove si potè accedere solo nel 1999).
E come possiamo dimenticare che il suffragio femminile fu autorizzato in Italia solo il 10 marzo 1946, data non troppo lontana da oggi? Nè è troppo lontano il tempo in cui la donna viveva esclusivamente all’ombra di un uomo – il padre, il marito, o addirittura il figlio – e non godeva di nessuno dei diritti giuridici, economici, civili riservati agli uomini, rimanendo esclusa dalle più elementari attività sociali. Sono stati necessari tanti anni e tante battaglie coraggiose perché finalmente le donne cominciassero ad avere quelle possibilità che gli uomini hanno sempre avuto di diritto.
E nonostante tutto, ancora oggi non si può dire purtroppo che ci sia una vera e propria parità di genere: rimane sempre un gap sociale – il “gender gap” – ed esistono fenomeni come il cosiddetto “glass ceiling” (che significa letteralmente “soffitto di cristallo”), ossia l’insieme di tutte quelle condizioni che non permettono alle donne di progredire nella carriera professionale e di ricevere gli stessi stipendi degli uomini che occupano le loro identiche posizioni.
Per ridurre queste differenze sociali tra i diciassette obiettivi dell’Agenda 2030 (il nuovo quadro di riferimento globale per l’impegno nazionale e internazionale, teso a trovare soluzioni comuni alle grandi sfide del pianeta), troviamo al quinto posto la parità di genere. Si punta ad “avviare riforme per dare alle donne uguali diritti di accesso alle risorse economiche così come alla titolarità e al controllo della terra e ad altre forme di proprietà, ai servizi finanziari, eredità e risorse naturali, in conformità con le leggi nazionali” e a “garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica”.
Beh, da quanto abbiamo visto e sentito durante la presentazione de La città che partecipa, l’esperimento delle Reti Civiche Urbane ha visto come protagoniste importantissime e preziose proprio le donne: appassionate, volitive, dinamiche, attive e sempre più consapevoli e partecipi della vita cittadina in una società che ha ancora tanto da migliorare nell’ambito dei diritti femminili.
Giulia Vergari e Alessandro Iuliano